La Fretta è una nemica spietata della nostra serenità. E di quella altrui.
Lo constatiamo quotidianamente sulla nostra pelle quando le vittime del ritardo degli altri siamo noi: uno spintone, un clacson che ci strilla contro, una risposta sbrigativa e distratta sono il messaggio che la nostra presenza, in quell’istante, è un ostacolo ad altre priorità. E ci rimaniamo male.
Spesso, però, ci capita di vestire i panni dei carnefici e, in quel caso, non ci badiamo nemmeno. A meno che qualcosa o qualcuno non ci spalanchi gli occhi sulla nostra aggressività. E, anche stavolta, ci rimaniamo male.
Ricordo che una sera sono uscita a cena con le mie amiche e abbiamo lasciato che le ore scivolassero tra una parola e l’altra finché un’occhiata all’orologio non ci ha richiamate all’ordine. Tardi. Tardissimo.
Arrivata a casa, ho raggiunto il letto accompagnata dall’amabile voce della mia coscienza: non ti sveglierai mai.
Detto, fatto.
La mattina successiva, con un doppio carpiato dal letto alla doccia, mi sono fiondata fuori casa mezz’ora dopo quanto prescritto dalla tabella di marcia.
E questo è l’esempio perfetto di un pessimo inizio di giornata.
Ricordo la mia corsa scomposta verso la fermata del pullman e l’insofferenza mordente nell’incontrare sul mio cammino viaggiatori molto meno ritardatari di me.
Li riconosci da lontano: trotterellano tranquilli guardandosi attorno, approfittano dell’attesa per sorridere qua e là e si distraggono amabilmente mentre cerchi di tagliargli la strada per conquistare terreno.
In quel momento ti infastidiscono profondamente. E quella mattina erano tutti miei nemici.
Spintonando qua e là, mi ero riuscita ad accaparrare un posto in prima linea davanti alle porte d’uscita del pullman per potermi scaraventare fuori non appena si fossero aperte.
Attesi la fermata carica come Usain Bolt ai nastri di partenza e, non appena le porte si distanziarono di qualche centimetro, mi tramutai in una sardina sottopeso per sgusciar fuori in una frazione di secondo.
E invece no.
Un muro di passeggeri in attesa del pullman si allargò davanti alle porte per lasciarmi passare, ma proprio nel bel mezzo del corridoio perfetto, dal nulla più remoto degli abissi, comparve lei, la signora Minù. Hai presente quella gentile nonnina sempre sorridente accompagnata dal fido cucchiaino che in un attimo diventa piccola piccola e può infilarsi dappertutto? Ecco, proprio lei. Con la sola differenza che, evidentemente, l’incantesimo non era tra le sue doti e si trovava costretta a superare la folla in dimensione naturale, con tutto il suo inevitabile ingombro.
Ora io non ho memoria dei pensieri che interruppero il fluire del mio raziocinio, ma ricordo perfettamente la scena che mi si parò davanti agli occhi.
“Lasciar scendere prima di salire! LASCIAR SCENDERE PRIMA DI SALIRE! LA-SCIAR-SCEN-DE-RE-PRI-MA-DI-SA-LI-REEE!!!”
Una giovane donna, apparentemente posata e composta, in preda a un furore incontrollabile, strillava in faccia alla signora Minù tutto il suo disappunto a pieni polmoni, circondata da una raggelata folla incredula.
Quella giovane donna ero io.
Irriconoscibile e trasfigurata, ma ero proprio io.
La signora Minù alzò lo sguardo, sospirò e, con voce sottile, disse: “Ha ragione, signorina, ero sovrappensiero. Mi scusi.” E con un sorriso si scansò per lasciarmi passare.
Ecco. Quello fu l’esatto istante in cui decisi che la Fretta non avrebbe mai più avuto la meglio sulla mia lucidità.
La vergogna di non averla gestita mi perseguitò per l’intera giornata e anche ora, a ripensarci, sento l’imbarazzo attorcigliarmi lo stomaco.
Ci sono, certamente, molti modi per ripristinare la lucidità mentale prima di esplodere in uno scatto d’ira, ma questa è solo una delle conseguenze che la Fretta ha sulle sue vittime e su chi malauguratamente le incontra.
Quando corri, non puoi alzare la testa per guardare il cielo e i suoi colori (semplicemente perché se no vai a sbattere) e difficilmente cederai il tuo posto in coda alla cassa del supermercato a quel signore con uno spazzolino in mano (mentre il tuo carrello contiene i viveri per il sostentamento del quartiere in vista dell’Apocalisse).
Se il tempo stringe, anche la prospettiva del tuo sguardo si fa piccola piccola.
La mia pillola rossa, in questo caso, è una soluzione molto semplice: parti prima.
Mi bastano 10 minuti di anticipo sui tempi per riuscire a debellare la nemica Fretta.
Pensaci bene. Non può essere tutto un’emergenza. Se è così, a meno che non salviamo vite umane a cavallo di un’ambulanza, la nostra lista delle priorità ha qualche problema.
Io me ne sono resa conto scrivendole su un foglio.
Quali sono gli impegni inderogabili che devo assolutamente portare a termine dal mio risveglio all’arrivo in ufficio? Li ho appuntati e poi mi sono trovata davanti a due scelte:
o ne elimino uno o inizio la mia giornata 10 minuti prima.
La buona notizia è che nessuna delle due scelte è inarrivabile, ma ce ne sarà certamente una più gradevole. Nel mio caso, anticipare il risveglio è l’opzione vincente.
In altri momenti della giornata, invece, scelgo di accantonare un impegno o riprogrammarlo, se necessario, ma certamente ho dovuto imparare a dire dei “No” (e ti assicuro che sconfiggere il senso di colpa è una sfida impegnativa, ma immensamente gratificante).
Quando, però, interviene una serata vivace in compagnia delle amiche, quei 10 minuti sotto le coperte acquisiscono un valore inestimabile. In tal caso, prima di andare a dormire scelgo accuratamente quale impegno mattutino sacrificare a vantaggio della mia calma. Senza rancore, gli dedicherò il tempo che merita quando quel tempo sarà a portata di mano.
Ti sei mai accorto che le parole “Fretta” e “Furia” si fanno un’ottima compagnia?
Lascia che si tengano per mano e vadano per la loro strada. E qualora dovessi vederle passare di corsa, scansati un pochino, fai loro un sorriso e torna a respirare profondamente: la tua giornata ha bisogno di te.
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