“Ascolta, si fa sera”.
Questa frase bellissima, che in quattro semplici parole racchiude una piccola poesia, è il titolo di una storica trasmissione radiofonica che va in onda dagli anni ’70 su Radio 1. Ai microfoni si susseguono un rabbino, un pastore evangelico e 4 preti cattolici. Ogni puntata è una riflessione su questioni del mondo e della vita in genere ed è un tuffo nella radio d’altri tempi, cordiale, composta e forbita. Ogni puntata dura tre piccoli minuti, dalle 20.57 alle 21.00, ma è ancora lì, da quasi cinquant’anni, ad occupare uno spazio nell’etere e, ora, pure in rete perché anche lei ha il suo podcast quotidiano.
“Ascolta, si fa sera” è una citazione che in casa mia si ripeteva spesso, un po’ per scherzo:
“Mamma, mamma! Ascolta…”
“…Si fa sera.”
Era il modo buffo di mia mamma di accogliere le mie convocazioni ad alta voce.
Ora ci ripenso, ogni tanto, a quella frase e la trovo bellissima.
Come si fa ad ascoltare la sera che arriva?
Voglio dire, al di là dell’invito prettamente radiofonico, non è che il sole si congedi con un bel discorso di commiato. Eppure si può ascoltare la sera che arriva.
Come?
Esattamente come potremmo ascoltare un amico che ci racconta la sua ultima sciata in montagna: con tutti i nostri sensi.
Sì, lo so. Il tuo trasporto nel seguire la descrizione dettagliata della sua discesa in neve fresca non è certo paragonabile a un volo col paracadute. Ma lo può diventare. Basta ascoltare con tutti i sensi.
Ho la percezione che l’abitudine all’ascolto sia una dote che inizia tristemente a scarseggiare. Proprio come il tempo, quello che inseguiamo col fiato corto e sembra non bastare mai per portare a termine tutti gli impegni della giornata. Figuriamoci se possiamo ritagliarci un’ora da dedicare alle parole altrui, soprattutto quando i loro discorsi non ci portano alcun beneficio!
Sembra un’affermazione arida e spietata, anche ora, mentre lo scrivo, ne avverto la brutalità, ma ci ho riflettuto parecchio, ho fatto qualche piccolo esperimento e sono giunta alla conclusione che, ahimè, è decisamente veritiera.
Ho incontrato, qualche tempo fa, un’amica per strada, la chiamerò Oli. Stavo correndo, ero di fretta (e la fretta, si sa, non è un buon compagno di viaggio ), ma mi sono fermata volentieri a salutarla. Non la vedevo da un po’ per cui gli episodi di vita da condividere erano un buon numero e, com’è normale che accada, la mia domanda “Come stai?” ha aperto la pista a un’interminabile maratona di racconti. Mentre Oli parlava, parlava, parlava, io un po’ pensavo a come congedarmi con delicatezza, un po’ la stavo a sentire e, a brevi tratti, l’ascoltavo per davvero.
Prima che il tempo mi sfuggisse del tutto di mano, mi scusai dell’interruzione e con uno scontato “Ci sentiamo presto!”, fuggii a gambe levate dritto dritto verso l’impegno successivo.
A fine giornata, tornando dal lavoro, andai a trovare Eli, nome fittizio di un’altra mia compagna d’avventure. Avevamo pianificato quell’appuntamento da tempo, per cui non avevo altri impegni se non quello di dedicarci vicendevolmente del tempo.
Io: “Ho incontrato Oli, stamattina!”
Eli: “Maddai! Come sta?”
Io: “Benissimo! L’ho vista in piena forma!”
Eli: “Ti ha parlato del suo nuovo lavoro?”
Io: “Sì sì, certo!”
Eli: “E come si trova? È soddisfatta?”
Io: “…” (allontanati un po’ dallo schermo, socchiudi gli occhi e fissa queste virgolette e i tre puntini di sospensione nel mezzo. Ecco, la vedi? Quella è stata proprio la mia espressione in quell’istante)
No, non lo sapevo. Non avevo una risposta per Eli. Avevo trascorso almeno un quarto d’ora insieme ad Oli e non riuscivo a ricordare le sue parole, se non qualche affermazione pescata qua e là a casaccio.
Tornai a casa, carica di delusione e rammarico per la mia superficialità: un’amica mi aveva regalato un pezzo della sua storia ed io non l’avevo nemmeno spacchettata. Inviai subito un messaggio a Oli proponendole di incontrarci con calma e suggerendo giorno e ora. Dichiaratamente meravigliata della fedeltà mantenuta a quel “Ci sentiamo presto!” di qualche ora prima, accettò di buon grado e ci incontrammo due giorni dopo.
Fu in quell’occasione che mi promisi di imparare ad ascoltare e fu proprio allora che mi resi conto di quanto non sia scontato farlo per davvero.
Se è pur vero che avevo promesso a Oli di “sentirci” presto, quando la raggiunsi per il nostro appuntamento ero pronta ad “ascoltare” tutto di lei, non solo le parole, ma ogni minimo dettaglio che i miei sensi mi avrebbero permesso di cogliere: odori, colori, suoni, gesti, silenzi. Tutto.
E così, appena iniziò a parlare, mi concentrai completamente su di lei, annullando ogni interferenza esterna e silenziando i miei pensieri. Profumava di fresco, indossava colori vivaci e trucco discreto. Le sue mani sembravano scandire il ritmo e l’ampiezza delle parole mentre il suo sguardo, fisso nel mio, corredava il discorso di emozioni.
Condivise con me i dispiaceri dell’amore, l’entusiasmo per il nuovo lavoro, qualche pettegolezzo leggero, il desiderio di iniziare un corso di fotografia e i preparativi per il Cammino di Santiago. Ogni episodio aveva un colore, un odore, un ritmo diversi e i miei sensi ne furono completamente rapiti. Anche il senso del tempo.
Volarono via tre ore abbondanti durante le quali io la ascoltai per davvero, dal primo all’ultimo istante. Mi sembrava di conoscerla più a fondo, nonostante gli anni di amicizia, e forse le volevo anche più bene di prima.
Ogni incontro diventa un’esperienza bellissima per entrambi gli interlocutori, un viaggio che si fa insieme, mano nella mano.
Quello è stato il giorno in cui ho scoperto l’ascolto.
Voglio essere sincera, però: ascoltare richiede tempo. Non necessariamente un lungo tempo, ma un buon tempo. Fossero anche 5 minuti, saranno 5 minuti in cui nella nostra vita non ci sarà spazio per nient’altro, solo per l’ascolto.
Penso, poi, che la dedizione profonda che si ripone in una conversazione non richieda regole o segreti misteriosi di cui siamo stati tenuti all’oscuro.
Ho letto qua e là alcuni vademecum che insegnano come si fa ad ascoltare. Tra le regole numerate che compongono gli articoli, si legge: non giudicare, non interrompere, non guardare in giro e così via.
Certamente si tratta di ottimi consigli, ma la mia esperienza mi ha insegnato che l’ascolto vero non ha bisogno di molti comandamenti. Solo di un’indicazione, tra l’altro anche un po’ ovvia:
dedica all’altro il tuo tempo e i tuoi sensi.
Così facendo non ci sarà spazio per il giudizio, le interruzioni o il paesaggio circostante, semplicemente perché il tuo mondo, in quel momento, sarà lui. E basta.
Inoltre, come in tutte le cose belle, quello che un’esperienza di ascolto puro ci lascia, resterà con noi per tanto, tantissimo tempo. Non ce ne renderemo nemmeno conto, ma tornerà tutto a galla quando meno ce l’aspettiamo.
Qualche mese dopo l’incontro con Oli, infatti, stavo sfogliando distrattamente il giornale durante la colazione, quando mi balzò all’occhio la notizia di un evento in città. Si trattava dell’inaugurazione di una scuola di fotografia con prezzi scontati per i primi iscritti e un corso incentrato sulla fotografia di viaggio.
Senza pensarci un attimo, inviai subito a Oli un messaggio con tutte le informazioni e mi sentii profondamente felice nel leggere la sua risposta carica di stupore: “Te ne sei ricordata! Grazie!!!”.
Ecco qua un altro vantaggio impagabile dell’ascolto:
se sai, connetti.
Visto che i bisogni, i desideri, i progetti di chi ci racconta la sua storia sono lì, a nostra disposizione per essere accolti, quando e se ci imbatteremo nelle risposte giuste, ci vorrà solo un attimo a dar via alla connessione. Ci vorrà solo un piccolo attimo per fare un bel regalo inatteso. E, come sai, fare un dono apprezzato ci restituisce una gran dose di felicità, talvolta addirittura maggiore di quella del pur soddisfatto destinatario.
Dunque, come tutte le dosi quotidiane di felicità, anche questa pillola non richiede grandi sforzi, ma restituisce enormi gratificazioni.
Oggi Oli vive all’estero, è passato molto tempo da quell’incontro, ma ci scriviamo ogni tanto e non importa quanto spesso riusciamo a vederci, perché è rimasto qualcosa di inestimabile valore, da allora: l’amicizia di sempre, un volersi bene un po’ più grande, il mio amore per l’ascolto e alcune foto bellissime del Cammino di Santiago.
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